Ci sono persone che avvertono prepotente il bisogno dell’emozione, dell’ideale, del sogno. Persone che hanno un’energia di natura non razionale. Persone per cui la vita del sentimento, del cuore è indispensabile, come l’ossigeno. Non ci si arrende quindi al vuoto del sentire, ma si ha continua urgenza di alimentare lo spirito con nuova linfa vitale. Matilde Trifiletti è una di queste persone speciali. Certo, tanta sensibilità ha un prezzo da pagare, e questo prezzo è la sofferenza, la malinconia, quel grigio che avvolge l’anima. Alcune poesie di Matilde colpiscono per un che di struggente. Sono quelle scritte per il perduto amore, quasi un lamento, ma sempre controllato e vissuto con estrema dignità. La separazione qui è l’ostacolo, l’inguaribile sofferenza. Ma lo strazio della separazione superando la barriera del silenzio è divenuto la molla potente generatrice di un canto che è anche insieme purificazione dal dolore e vita nuova, diversa, quella del ricordo intenso. Grazie alla poesia si verifica il miracolo dell’amore che supera i confini della vita attraverso un ideale colloquio che non sconfigge la malinconia, ma la libera da quel senso di oppressione che troppo spesso l’accompagna.